È valida la delibera assembleare che stabilisca un criterio di riparto delle spese diverso da quello previsto dal regolamento condominiale di natura contrattuale se è lo stesso regolamento a consentirlo. Se, infatti, quest’ultimo dispone che le proprie clausole possano essere modificate anche a semplice maggioranza, non è corretto trincerarsi dietro la classica distinzione tra disposizioni di contenuto contrattuale e norme di contenuto assembleare, ribattendo che le prime possono essere modificate soltanto con l’unanimità dei consensi, ma occorre dare esecuzione allo specifico disposto regolamentare. Tanto più in considerazione del fatto che la natura contrattuale di tale disciplina vincola tutti i condomini alla sua applicazione. Queste le considerazioni che possono trarsi dalla recente sentenza n. 1992 del 29 gennaio scorso della seconda sezione civile della Corte di cassazione.
Il caso concreto. Nella specie il proprietario di due unità immobiliari aveva citato dinanzi al giudice di pace il condominio nel quale le stesse erano comprese per impugnare la deliberazione assembleare con la quale si era deciso a maggioranza di ripartire le spese di manutenzione straordinaria del lastrico solare in proprio uso esclusivo in base al criterio di cui all’art. 1126 c.c. (quindi un terzo a suo carico e i restanti due terzi quale onere gravante sugli altri condomini cui detto bene serviva da copertura delle relative unità immobiliari) invece che sulla base dei millesimi di proprietà, come previsto dal regolamento condominiale originariamente redatto dal costruttore-venditore dell’edificio e richiamato nei vari atti di acquisto. A suo modo di vedere, infatti, data la natura contrattuale del predetto regolamento, la delibera in questione doveva ritenersi annullabile e/o nulla per violazione del criterio di riparto ivi previsto, il quale avrebbe potuto essere modificato soltanto con l’unanimità dei consensi della compagine condominiale. Il condominio si era costituito eccependo in primo luogo la decadenza dell’attore dall’impugnazione della deliberazione per decorso dei termini di decadenza di cui all’art. 1137 c.c.. Il giudice di pace, opinando per la mera annullabilità della delibera, aveva quindi rigettato la domanda. Interposto appello avverso la suddetta sentenza, anche il tribunale aveva mandato esente da responsabilità il condominio, sebbene se per motivi parzialmente diversi. Il giudice aveva infatti evidenziato che la decisione di attenersi al criterio di riparto delle spese stabilito dall’art. 1126 c.c. risaliva a una precedente deliberazione assembleare, mai impugnata, e che nel corso dell’assemblea nella quale era stata adottata la decisione sub iudice non era stato in alcun modo fissato il riparto della spesa, essendo stata semplicemente approvata l’operazione di calcolo che derivava da tale riparto. Inoltre, sempre secondo il tribunale, modificare un criterio di riparto vuol dire, in concreto, fissare una regola valevole non solo per una data spesa, ma anche per quelle future del medesimo genere, cosa che non era avvenuta nel caso di specie, essendosi intervenuto soltanto sullo specifico intervento di manutenzione straordinaria. Di qui il ricorso in Cassazione del condomino.
La decisione della Suprema corte. Quest’ultimo in sede di legittimità aveva ribadito che la delibera impugnata aveva disposto, in assenza dell’unanime consenso dei condomini, la ripartizione delle spese di manutenzione straordinaria del lastrico solare alla stregua di un criterio difforme da quello previsto dal regolamento di condominio, in virtù del quale dette spese avrebbero dovuto essere suddivise secondo la tabella millesimale delle spese generali allegata al medesimo regolamento. Secondo il ricorrente detta delibera, lungi dall’introdurre tale criterio di riparto solo per il caso specifico dei lavori in questione, come sostenuto dal giudice di appello, aveva invece voluto modificare il regolamento in via definitiva, con una disposizione valevole quindi anche per il futuro. La Suprema corte, nel decidere la controversia sottoposta al proprio vaglio, ha in primo luogo richiamato i propri precedenti di legittimità in base ai quali è stato chiarito che devono ritenersi affette da nullità, che può essere fatta valere anche da parte del condomino che le abbia votate, le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall’art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo per esse necessario il consenso unanime dei condomini. Sono viceversa annullabili e, come tali, impugnabili nel termine di cui all’art. 1137 c.c., le delibere con le quali l’assemblea, nell’esercizio delle attribuzioni previste dall’art. 1135, n. 2 e n. 3, c.c., determini in concreto e in relazione a uno specifico caso la ripartizione delle spese medesime in difformità dai predetti criteri di legge. Infatti, sempre secondo la Suprema corte, la delibera relativa alla ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative a lavori straordinari ritenuti afferenti a beni comuni, ove adottata in violazione dei criteri già stabiliti, deve considerarsi annullabile, non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell’art. 1123 c.c. e la relativa impugnazione va pertanto proposta nel termine di decadenza di 30 giorni. In secondo luogo, i giudici di legittimità hanno poi evidenziato come nella specie fosse il medesimo regolamento condominiale a prevedere che eventuali modifiche delle disposizioni in esso contenute potessero essere approvate dall’assemblea ai sensi dell’art. 1138 c.c. (dunque con la maggioranza di cui all’art. 1136, comma 2, c.c.). In questo caso doveva quindi ritenersi che anche il condomino ricorrente avesse accettato che il predetto regolamento, pur nella parte in cui, a suo vantaggio, derogava alla regola di cui all’art. 1126 c.c., fosse suscettibile di modifica a maggioranza e non già all’unanimità. Di conseguenza il riferimento operato dal ricorrente al limite di cui al comma 4 dell’art. 1138 c.c., ove è prefigurata l’impossibilità di menomare i diritti di ciascun condomino risultanti dagli atti di acquisto ovvero da un regolamento convenzionale, doveva correttamente intendersi come principio valevole soltanto in assenza del concorso della volontà del condomino avente diritto.